Se llamaba Delfino Borroni. Tenía 110 años y nos dejó este domingo 26 de Octubre de 2008. No llegó a ver el 90 aniversario del armisticio que se cumplirá el 11 de Noviembre a la hora 11.
Era también el último caballero vivo de la orden de Vittorio Venetto.
Delfino se alistó con 19 años en 1917 en el arma de Bersaglieri (unidad de ciclistas). Combatió en Asiago, Pasubio y Caporetto. En este último lugar fue hecho prisionero pero logró evadirse semanas después y llegar hasta un batallón de caballería italiana.
Delfino nos ha dejado pero no su testimonio el cual transcribimos literal:
«Caporetto è stato il posto peggiore che ho visto durante la guerra» aveva sempre dichiarato il bersagliere, che grazie alla memoria vivissima in questi anni ha confidato le sue memorie a decine di storici, provenienti da tutto il mondo. «La vita in trincea era terribile – ricordava Borroni – Il freddo, la fame, il rombo delle granate, poi c’erano gli attacchi con il gas. Quando pioveva, poi, si aveva la tentazione di dormire, ma quello era il momento in cui un attacco era più facile, allora il capitano passava, con indosso il suo cappello nero e ci urlava di stare all’erta». A Caporetto, il fante rischiò di morire. «Il sergente mi disse di uscire a vedere la situazione fuori dalla trincea. Io gli chiesi perché mandava a morire me che ero il più giovane e lui mi rispose che tutti gli altri avevano figli» raccontava il bersagliere. «Allora uscii strisciando, ma un proiettile mi colpì subito sullo scarpone. Mi finsi morto accanto a due cadaveri di altri soldati e quando gli austriaci se ne andarono, raggiunsi i miei compagni in ritirata. Il sergente mi prese la testa sulle ginocchia e pianse». Dopo qualche settimana, Delfino fu catturato. «Una volta, in prigione, cominciai a urlare, volevo scrivere alla mia famiglia che da sette mesi non aveva notizie – spiegava il veterano – L’ufficiale austriaco mi rispose: «io è da dieci anni che non torno a casa», ma poi mi diede un foglio e una penna». Qualche mese dopo, la fuga. Dopo un giorno di marcia, alla sera, nella prigione, anche l’ufficiale romeno di guardia crollò dal sonno. Delfino fuggì e si unì a un battaglione italiano a cavallo, poi prese un treno che lo portò a Piacenza. Da lì, scrisse ai genitori, che lo raggiunsero. «Stavo riposando in una tenda, alzai gli occhi e vidi gli scarponi di mio padre. Mia madre lanciò un urlo così forte, che quasi mi moriva fra le braccia». I suoi racconti si trovano anche in Rete. «
La guerra más devastadora y asesina de todos los tiempos ha perdido uno de sus últimos testigos.
No dejemos que caigan en el olvido.
fuente: Corriere della Sera